Betty Danon raccontata dalla figlia

Ricordare Betty Danon artista, vuol dire prima di tutto parlare della sua vita e di come l'ha vissuta. Ricordarne la persona, vuol dire parlare della sua arte e di come questo ha cambiato lei e chi l'ha conosciuta da vicino.

Un quadro impressionista, a volte, rende onore a un paesaggio più di una fotografia, riesce a coglierne l'anima pur non rivelando i dettagli. Così questo libro non si propone di fare un resoconto preciso della vita e del lavoro di Betty Danon, ma cerca di suggerire - attraverso le sue stesse parole e opere - l'"aroma" di quello che è stato il lavoro e il messaggio di una donna che ha avuto il coraggio di accettare a 42 anni la chiamata dell'arte.

Arte, intesa come opportunità di oltrepassare i confini di una convenzionale concezione di vita. Per dare spazio e tempo alla propria vocazione sopita, alla capacità di guardare nel profondo di se stessi, al desiderio di avventurarsi nell'immensità dell'universo e alla scoperta delle risonanze tra queste due dimensioni.

Dalla pittura al collage, dal segno grafico alla performance, dalla mail art all'utilizzo - alla fine degli anni '80, decisamente all'avanguardia - del computer, Betty Danon ha trovato nella poesia visuale il suo ambiente più congeniale: suono e segno, significante e significato, giocosità e impegno, elaborazione solitaria e presenza costante in una fitta rete di contatti internazionali, sono stati alla base di un lavoro ininterrotto di oltre 33 anni, dal 1969 sino al 2002.

Fortemente stimolata da una ricerca interiore junghiana, Betty Danon ha iniziato il suo percorso artistico giocando con il tema dello yin e yang e approdando in pochi anni a punto e linea, elementi fondanti di tutto il suo lavoro e della sua ricerca esistenziale, che si rivelano essere particella e onda, elementi fondanti dell'universo stesso.


Raggiunto l'essenziale, dopo anni di giochi tra bianco e nero il suo percorso artistico si tinge di gioia e colore con Rainbowland, il paese dell'arcobaleno, immenso ponte-pentagramma di aria, acqua e luce che raccoglie i "suoni" di tutti, come lei stessa lo definisce. Qui la novella Alice - non più in Wonderland ma in Rainbowland - intrattiene i visitatori con le sue domande di stampo zen.

Da rainbow a Rimbaud, a cui ha dedicato uno dei suoi primi lavori di poesia visuale, il passo è breve e ormai è stata presa la rincorsa per entrare a pieno diritto in un mondo in cui la poesia diventa per gli occhi e non più per le orecchie, in cui la scrittura può diventare immagine ed essere trattata come un oggetto, in cui l'artista si appropria di quello spazio tra illusione e realtà e in cui la lettura si sposta in altre sfere, al di fuori da quelle rappresentate: "quello che si vuol dire è sempre altrove, e quell'altrove nei casi più felici "è come un'onda che non si ferma mai"", spiega l'artista.

La produzione artistica di Betty Danon è vastissima, decine e decine di tele dei primi anni '70, collages, sculture, nastri audio e video con la registrazione di performance, centinaia di lavori su carta, più di 50 i libri con raccolte di poesie visuali, alcuni stampati in diverse copie numerate, altri editi in proprio in un numero limitato, altri pezzi unici. L'apprezzamento da parte degli intenditori non manca; dopo aver ricevuto il volume "punto-linea", nel 1976, Roland Barthes le scrive: "quelque chose de très beau, quelque chose de parfait" (qualche cosa di molto bello, qualche cosa di perfetto).

Un elemento notevole nell'intera collezione è il lavoro ""Io & gli altri" esposto nella Galleria Apollinaire di Milano nel 1979: più di 200 interventi originali su cartoncino pentagrammato, firmati da alcuni dei più noti esponenti dell'arte contemporanea, Sol Lewitt, Nam June Paik, Ray Johnson, Pablo Echaurren...

Nata a Istanbul e trasferitasi a Milano dal 1956, Betty Danon ha esposto in personali e collettive in numerosi paesi europei ed extraeuropei e ha partecipato a due mostre speciali della Biennale di Venezia, nel 1978 e nel 1980. La sua ascesa, nei suoi primi 12 anni di attività, è fulminea, inusuale, ma lei è insofferente alle regole imposte agli artisti dal mondo delle gallerie d'arte e senza le doti diplomatiche e gli appoggi necessari per imporsi nell'ambiente artistico italiano, dai primi anni '80 - per la sua tranquillità interiore - decide di continuare a lavorare nell'ombra e di cercare altrove il riconoscimento e, soprattutto, gli stimoli per continuare. Rivolge la sua attenzione esclusivamente a spazi culturali liberi da speculazione, quali musei, biblioteche e archivi, intensifica i suoi rapporti con realtà internazionali, mantiene intensi contatti con l'ambiente statunitense e australiano della mail art e della poesia visuale, sino ai suoi ultimi giorni di vita.

L'arte diventa sempre di più, per Betty, non qualche cosa da esporre ma qualche cosa da vivere e comunicare, qualche cosa che può e deve impregnare l'esistenza quotidiana e accompagnare le persone a scoprire e utilizzare i vasti margini di libertà e creatività che la vita consente. Comincia così a tenere degli atelier - chiamati prima "Esplorare", e poi "Harem" - in cui dà l'occasione di essere creativi a chi non ne aveva mai avuto la possibilità prima. Il lavoro con carta, parole e colori non è il fine, ma il mezzo attraverso il quale si crea nel gruppo un'atmosfera di simpatia, stima reciproca e di cordialità che favorisce quella comunicazione autentica con se stessi e con gli altri di cui abbiamo tutti così bisogno.

Piccolo museo d'arte, il suo appartamento al terzo piano di Viale Coni Zugna 37 è meta di un continuo andirivieni di amici, colleghi, visite dall'estero, allievi di inglese - "Impara l'inglese cantando, con Frank Sinatra e Betty Danon", recita la locandina di una delle sue attività -; mentre alle pareti di tutte le stanze della piccola casa, ci si può immergere in pochi minuti in uno spaccato dell'arte underground contemporanea.

La casella della posta diventa ben presto per lei uno dei riferimenti più importanti. Lì arriva corrispondenza da artisti, e non solo, di tutto il mondo e lì per 14 anni arrivano le buste multicolori dell'artista newyorkese David Cole, con cui intrattiene una giocosa corrispondenza e uno scambio di lavori, di vedute, di battute che la portano ad acquisire una sempre maggiore dimestichezza con le sottigliezze della lingua inglese. I complessi, imprevedibili, contorti, bizzarri, a volte incomprensibili giochi di parole con cui i due artisti di poesia visuale si intrattenevano saranno un giorno oggetto di studio e di gaudio per gli intenditori.

Il suo più fedele compagno e strumento di lavoro, a partire dal 1989 è Toyfriend, il piccolo "cubotto" Macintosh con cui si schiera tra i pionieri nell'uso del computer nel campo della poesia visuale. Seguono Toyfriend2 e Toyfriend3, sempre Macintosh, a cui la sua immagine - nel ricordo di chi l'ha conosciuta - è ormai indissolubilmente associata.

Poco propensa a uscire dal suo regno e per nulla amante dei viaggi e della vita mondana, Betty è per molti un punto di riferimento, un'amica preziosa, una consigliera. Risponde alle altrui lamentele esistenziali citando Baudrillard, invitando a liberarsi da stereotipi, luoghi comuni e simulacri; insegna a guardarsi allo specchio al mattino dicendosi parole gentili; aiuta a ridimensionare ogni problema facendo intravedere "la luce alla fine del tunnel", ricorda di non prendersi troppo sul serio; tiene le porte aperte verso l'universo, verso il grande mistero, che riconosce pur senza la pretesa di averlo capito.

Questa diventa l'arte per lei, vivere una vita autentica, gioiosa, pur nella consapevolezza dei propri limiti, delle difficoltà oggettive, del tempo che scorre.

E il tempo scorre e lei comincia ad accorgersene. Un sogno la pone di fronte a un orologio, lo riconosce come un segno e lo trasforma in un lavoro, Tetrakis. Riordina i suoi archivi, crea diverse copie antologiche dei suoi lavori di poesia visuale, Pages forgotten and not - Pagine dimenticate e non, e contatta archivi internazionali. I suoi lavori sono oggi al "Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto" - dove è custodito anche il suo archivio -, presso "The Museum of Modern Art" di New York, nel dipartimento di Rare Books della "Ohio State University", negli archivi Sackner, e in musei e biblioteche di più di 25 nazioni di tutto il mondo. Quando la vita le dà un segno inequivocabile di quanto era stato annunciato nel sogno la sua preoccupazione non è per sé, è per il suo lavoro. Lavoro su cui grava una profezia: "Verrà riconosciuto quando a te non importerà più". E' con questa serena fiducia che parte per Rainbowland nell'aprile del 2002, lasciando arcobaleni multicolori da seminare per il mondo.

Nell'ottobre del 2004 il Pulcinoelefante, edizioni d'arte, porta con sé a New York L'arte è di tutti, come l'arcobaleno. Con una sola frase Betty Danon, al di là del tempo, fa vivere il suo messaggio: "fare arte è essere felici, essere liberi, amare la vita, fare la rivoluzione". E non è che l'inizio.

 

Marcella Danon

Osnago, ottobre 2005


tratto da: betty danon, arte come vita, vita come arte, edizioni inventare il mondo, osnago (lc), 2005


www.bettydanon.it